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Ultimo Aggiornamento: 12/09/2010 10:26
12/09/2010 10:26
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La paura del futuro



VITTORIO EMANUELE PARSI

Le truppe da combattimento americane hanno lasciato l’Iraq, mantenendo sul posto una corposa retroguardia di 50 mila uomini. È un’altra delle promesse fatte da Obama in campagna elettorale che viene (più o meno) mantenuta.

Ma è anche quanto avevano concordato la precedente amministrazione e le autorità irachene, i cui vertici militari (tenente generale Babaker Zebani) vorrebbero ora che le residue truppe americane restassero in Iraq non solo per tutto il 2011, ma addirittura fino al 2020. Il futuro del Paese si presenta tutt’altro che roseo. I rapporti tra le formazioni (e le milizie) sciite, sunnite e curde sono sempre sul punto di rottura; gli attentati stanno conoscendo una nuova recrudescenza; la stessa società, che nel suo complesso è esasperata ed esausta per il pesante tributo di sangue e distruzione che ha dovuto pagare per liberarsi dalla tirannia di Saddam Hussein, sembra essere completamente sfibrata dai lunghi anni del terrore, prima qaedista e poi settario.

Guardando al Paese e all’intera regione, credo che tre considerazioni possano essere brevemente svolte :

1. Il rovesciamento del regime baathista ad opera degli americani ha avuto ripercussioni sull’intero Medio Oriente, com’era facile prevedere. Tuttavia non nel senso auspicato da George W. Bush, di un’apertura di quella regione alla democrazia, sia pure importata manu militari. Esso ha piuttosto segnato la sconfitta, almeno per ora, del progetto identitario fondato sul binomio laicità-modernizzazione, a favore di quello integralismo-radicalismo. Le ambizioni egemoniche di Saddam Hussein erano state alimentate dallo scoppio della rivoluzione khomeinista in Iran, e dalle paure che essa aveva suscitato nell’intero Medio Oriente. Nonostante i contorcimenti neoreligiosi dell’ultimo Saddam, la rivoluzione khomeinista ha sconfitto quella baathista e Teheran ha accresciuto il proprio ruolo regionale.

2. Nelle sabbie irachene l’America ha consumato il sogno di un nuovo ordine mondiale fondato sulla sua leadership e garantito dalla sua indiscussa supremazia militare. Quest’ultima resta, ma sembra essere sempre più ingombrante e meno risolutiva, se è vero che mentre le forze armate Usa si ritirano sono in arrivo 7000 nuovi contractors, che dovranno provvedere, di fatto privatizzandola, alla sicurezza delle aree petrolifere. È un paradosso. G.W. Bush andò in guerra contro tutto e contro (quasi) tutti, invocando il fallimento del diritto internazionale e della stessa validità assoluta del concetto di sovranità. E ha perso. Quella di Bush è stata però anche la sconfitta dell’ultimo tentativo di cambiare apertamente le regole del gioco, mantenendone inalterate la dimensione pubblica, politica e territoriale. Fallito il primo esplicito approccio neoimperiale degli Stati Uniti all’ordine mondiale, a Washington sembrano ancora incerti su quale strada intraprendere, forti di una sola consapevolezza: che il tornare indietro è semplicemente impossibile.

3. Anche in seguito al vuoto causato dalla sconfitta irachena, il sempre precario ordine mediorientale sta conoscendo un avvitamento inedito, in cui molti protagonisti stanno cambiando il loro ruolo tradizionale. Israele non è più l’incontestata potenza militare della regione, tendenzialmente «pro status quo»; l’Iran, al suo punto di massima proiezione regionale, sembra disposto a giocarsi il tutto per tutto nella ben più importante partita nucleare; la Turchia mostra un nuovo attivo interesse per l’area che mette in tensione i rapporti con i suoi alleati non solo regionali; l’Egitto fatica a mantenere un basso profilo, continuando a investire sulle speranze di una pax americana tra Israele e Palestina che si riducono ogni giorno di più anche per la debolezza manifestata dagli Stati Uniti. Ciò che accomuna sempre di più i diversi attori è che tutti sembrano in grado di impedire il successo altrui, ma nessuno appare credibilmente nelle condizioni di far trionfare il proprio. Il fatto è che con la caduta del tiranno molti hanno tratto vantaggio nel breve periodo: Israele, il Kuwait e l’Iran hanno visto scomparire un acerrimo nemico; George W. Bush ha chiuso la partita iniziata dal padre; i curdi e gli sciiti iracheni (cioè la vasta maggioranza) sono più liberi e probabilmente non poi tanto più insicuri di prima. Ma nessuno, finora, è riuscito a trasformare questi vantaggi immediati nelle fondamenta per un futuro più stabile.



"Islam abbia rispetto"



Vescovo indiano:"Non bruciamo il Corano, ma anche l'islam sia più tollerante"


GIACOMO GALEAZZI

Intervistato da AsiaNews mons. Leo Cornelius, arcivescovo di Bophal, condanna la campagna “brucia il Corano” lanciata dal pastore americano Terry Jones. Il prelato invita cristiani e musulmani a isolare le frange estremiste che offendono le altre fedi: “Avere rispetto della religione implica rispettare l'umano”.

“La minaccia del pastore Jones ha creato forti reazioni tra i nostri amici musulmani che sono stati ingiustamente offesi. Allo stesso modo, quando gli estremisti islamici offendono altre religioni, i musulmani dovrebbero anche capire il dolore di queste persone”, afferma ad AsiaNews mons. Leo Cornelius, arcivescovo di Bhopal, (Madhya Pradesh), rispetto alla campagna “brucia il Corano” che in questi giorni ha messo in allerta tutto il mondo Intervistato da AsiaNews, il prelato sottolinea che è solo grazie alla reciprocità che si possono mettere le basi per la fiducia e la pacifica coesistenza. Eccellenza, come hanno reagito le comunità cristiana e musulmana del Madhya Pradesh alle notizie di questi giorni? L’annuncio del rogo del Corano è stato denunciato dai leader cristiani e musulmani nella nostra provincia, ma anche in ogni regione dell’India e del mondo. Esistono elementi di fanatismo in tutte le fedi religiose. Le persone di buona volontà non devono reagire a queste provocazioni e rifiutare qualsiasi tipo di fondamentalismo. In Madhya Pradesh, cristiani e musulmani sono una minoranza. Quali sono gli elementi essenziali per la tolleranza e la reciproca convivenza?Per le nostre comunità l’importante è lavorare insieme, non essere contro la comunità di maggioranza (indù) e soprattutto isolare le frange estremiste. Noi non viviamo come minoranza religiosa contro la maggioranza. Avere rispetto della religione implica rispettare l’umano. In Madhya Pradesh, abbiamo buone relazioni con i leader musulmani, infatti molti musulmani hanno partecipato alle celebrazioni per il centenario di Madre Teresa. La vicinanza di questi giorni tra leader cattolici e musulmani potrebbe portare qualche vantaggio in vista del Sinodo del Medio oriente?In tutto il mondo ci sono moschee, eppure in Medio Oriente le chiese non sono ammesse e il culto è limitato da rigide normative. I nostri amici musulmani devono essere consapevoli che lo spirito di reciprocità è il principio guida per la tolleranza religiosa.E’ solo grazie alla reciprocità che si possono mettere le basi di fiducia reciproca e pacifica coesistenza per un nuovo ordine mondiale".


Fidel contro tutti, accusa Bin Laden
"È iscritto nel libro paga della Cia"

Il leader del movimento jihadista al-Qaeda Osama Bin Laden


Per il leader Maximo la chiave del mistero sarebbe contenuta nei documenti resi pubblici da Wikileaks: quello nei video è solamente un «cattivo attore».
Osama Bin Laden sarebbe in realtà iscritto nel libro paga della Cia, regolarmente stipendiato come tutte le altre spie americane servite all’ex presidente George W. Bush ogni volta che aveva bisogno di suscitare un’ondata di paura. L’accusa arriva niente di meno che dal nemico storico degli Stati Uniti: il capo del partito comunista cubano Fidel Castro, tornato alla ribalta in luglio dopo quattro anni di esclusione dalla scena politica internazionale.

Durante un incontro all’Avana con lo scrittore russo di origini lituane Daniel Estulin, l’84enne ha sostenuto che i documenti recentemente pubblicati sul sito Wikileaks.org finalmente possono provare la sua teoria. Nelle migliaia di pagine rese pubbliche dall’organizzazione no profit di Julian Assange sarebbe contenuta la risposta a uno dei più grandi misteri dell'ultimo decennio: per chi lavora veramente il leader di al-Qaeda?

Il leader Maxìmo tuttavia non è entrato nei particolari per spiegare a cosa si riferisse concretamente e si è limitato a lanciare la sua accusa. «Ogni volta che Bush aveva bisogno di suscitare paura e di fare un grande discorso, Bin Laden lanciava minacce dirette proprio a persone, luoghi o situazioni coinvolte o pertinenti a ciò a cui si riferiva Bush. Il presidente americano ha sempre avuto l’appoggio del capofila dei Jihadisti».

Tesi poi appoggiata da Estulin, conosciuto per le sue teorie cospirazioniste sulla dominazione del mondo e autore di una trilogia sul «Club Bilderberg» che controllerebbe la cultura, la politica e l’economia mondiale in gran segreto. Secondo la sua personale visione dei fatti «la vera voce di Osama è quella nei video diffusi da alJazeera alla fine del 2001, non molto tempo dopo gli attacchi dell’11 settembre. Quello nei filmati successivi è solamente un “cattivo attore”».

Ma l’«accoppiata esplosiva» almeno su un punto non è d’accordo: Castro dissente dal russo quando afferma che la razza umana dovrà necessariamente trasferirsi in un altro pianeta abitabile per non estinguersi. Con una stoccata pungente, il cubano ha osservato che sarebbe più opportuno cercare di migliorare la situazione attuale: «L’umanità deve prendersi cura di se stessa se vuole vivere ancora migliaia di anni».

Dimessosi per motivi di salute nel 2006 e consegnato il potere nelle mani del fratello più giovane Raul, Fidel non è nuovo a interventi provocatori. L’ultimo colpo di testa – la dichiarazione che il pianeta sia sull’orlo di una guerra nucleare - ha recentemente ottenuto un notevole eco sulla stampa internazionale, specialmente quando il rivoluzionario si è ulteriormente sbilanciato affermando che il conflitto globale avrebbe determinato la cancellazione delle fasi finali della Coppa del Mondo, disputata il mese scorso in Sud Africa.
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Lotteremo per Resistere !

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